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Nemi: il museo, le navi, le follie di Caligola e il mistero

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Cosa non smette mai di stupire nella razza umana? La sua infinita capacità di creare e l‘altrettanto infinita capacità di distruggere. Divina, la prima, diabolica, la seconda. Quello che lascia perplessi è, in alcuni casi, il detestabile connubio delle due. Prendiamo ad esempio il caso del lago di Nemi e del suo Museo: si scontrano più volte nella storia degli uomini ad essi collegata, queste due presenze. Nemi; il suo nome è legato a quello di un imperatore funesto: Caligola. Nato come Gaio Giulio Cesare Germanico, divenne Caligola ("piccola caliga") per un affettuoso soprannome che gli venne regalato dai legionari del padre (i quali usavano la caliga come calzatura), tra cui era praticamente cresciuto. Soli quattro anni di regno e molte nefandezze, ma anche qualche atto positivo. Negli ultimi tempi diede segni di decadenza nel fisico e di gravi instabilità nel carattere per cui ci si è chiesto se alle spalle di questo vi fosse una malattia degenerativa. Fu assassinato dai suoi pretoriani, che pure lo avevano molto amato, a soli 28 anni. Folle, quasi all’improvviso? Come non pensare alla “pandemia” riscontrata sulle ossa dei romani dall’archeologia antropologica sui reperti delle ossa romane? Il saturnismo, causato dal piombo, che conviveva coi romani da sempre, nelle tubazioni degli acquedotti, nei recipienti piccoli e grandi e con i sali di piombo, i quali venivano utilizzati anche per addolcire il vino. Caligola, il Lago di Nemi, i divertimenti e la villeggiatura degli antichi romani, e le Navi sono indissolubilmente legati. Mi riferisco alle due navi celebrative romane, dell'età dell'imperatore Caligola, ritrovate e riportate alla luce tra il 1927 e il1932, conservate poi nel Museo delle Navi Romane e distrutte dal fuoco nel corso della seconda guerra mondiale nel 1944. Creazioni di un folle, dedicate alla dea Diana, il cui tempio sorgeva sulle rive del lago, distrutte due volte, prima con l’acqua in cui navigavano e dopo dal fuoco, sempre “a merito” dell’insana capacità di distruzione dell’essere umano. Fatte affondare alla sua morte, avvenuta nel 41 d.C., per la “damnatio memoriae”, dal Senato di Roma, allo scopo di cancellarne il ricordo, assieme a tutte le sue opere, dello stesso Caligola, si persero per secoli nell’acqua su cui, bellissime e ricchissime, avevano elegantemente galleggiato. Il lago; in Latino: Lacus Nemorensis, o Speculum Dianae, esteso per circa 1,67 km2, ha una profondità massima di 33 metri. In quelle profondità furono cercate più volte senza grossi risultati, le navi. Chi poté, nei secoli, ne raccolse “briciole interessanti”. La prova della loro presenza. Pezzi di pavimento in porfido e serpentino, smalti, mosaici, schegge di colonne metalliche, moltissimi chiodi di differenti misure, laterizi, tubi di terracotta, e una bellissima testa di leone in bronzo. Lo stesso Governo che ne permise la scoperta, ossia quello fascista, che consentì il recupero delle navi dal fondo del lago, in parte prosciugato per mezzo di idrovore, fu poi la causa della loro rovina. Sempre creazione e distruzione, dunque. L’hangar costruito appositamente, primo esempio in Europa di Museo edificato intorno ad un’opera d’arte, ospitò lo straordinario reperto: due navi, lunghe 70 metri e larghe più di 25, creazione mentale dell’imperatore Caligola, in onore della dea egizia Iside e della dea locale Diana. Distruzione, amica degli uomini. Nella notte tra il 31 maggio e il primo giugno del 1944, un incendio, appunto, le distrusse. Doloso, come sono quasi sempre gli incendi. Opera dei tedeschi in fuga? (Come dimenticare che Hitler voleva distrutta persino Parigi?), o degli americani, che colpirono insensatamente il museo nella convinzione che i tedeschi vi avessero posizionato una contraerea? (Come dimenticare i bombardamenti di Montecassino?) Poco importa: l’insensata capacità distruttiva dell’essere umano vinse. Tuttavia, tra possibilità davvero coinvolgenti di passeggiate, all’interno di percorsi dalle visuali bellissime e conoscenza di una storia, che non sia quella pedissequamente raccontata a scuola, il Museo delle Navi Romane resta una perla da inserire nella collana degli amanti dell’arte e dell’archeologia: “Per il suo valore il sito vuole essere proposto per il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità all’UNESCO e a tale scopo si è costituito un Comitato Promotore cui aderiscono il Comune di Nemi, il Comune di Genzano di Roma il Parco Regionale dei Castelli Romani, la Sezione dei Castelli Romani di Italia Nostra, la Sezione dei Castelli Romani di Legambiente, la Sezione dei Castelli Romani dell’Archeoclub d’Italia, la Sezione dei Castelli Romani del WWf, la Fondazione Naves Nemorenses, la Fondazione Euronatur, il Consorzio Imprese dei Castelli Romani e la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio.”- Questo luogo apre lo sguardo alla conoscenza, alla necessità di salvaguardia, valorizzazione e tutela dell’intero bacino di Nemi. La presenza del Museo delle Navi Romane appare elemento fondamentale. Risale al 1935, fu edificato, appunto, per ospitare gli scafi dell’imperatore Caligola e parzialmente distrutto, come descritto, nel 1944. Il Museo ha un costante rapporto con il presente, giacché ospita abitualmente valide iniziative culturali, quali Mostre, Convegni, e Seminari, la cui presenza ha concorso ad un aumento rilevante del pubblico e dei flussi turistici, in particolare scolastici ed universitari. Personalmente mi ha affascinata, anche per la presenza di un tratto basolato dell’antica Via Virbia, rinvenuto a suo tempo nell’area. Tale tratto, che all’altezza di Genzano si distaccava dalla Via Appia per raggiungere il Santuario di Diana, sulla riva settentrionale del lago, appare esattamente conservato, per cui è emozionante poterne vedere i due stralci all’interno dell’edificio, mentre un terzo è visibile nel giardino. Dicevamo, dunque: creazione e distruzione, che si alternano nello svolgersi della vita dell’uomo e in questo caso, il Museo rappresenta, appunto, la creazione. Alcuni reperti di maggior valore si salvarono in quanto, nell’agosto 1943, la Sovrintendenza li aveva fatto trasportare a Roma, nei magazzini del Museo Nazionale Romano. Vi si trovano esposti oggi: “Nell’ala dedicata alle navi, oltre ai modelli degli scafi, attrezzature di bordo in copia (una noria, una pompa a stantuffo, un’ancora in legno) e originali (l’ancora in ferro a ceppo mobile, il bozzello, le condutture in piombo (torna il saturnismo. N.d.A.), con il nome dell’imperatore Caligola), il rivestimento bronzeo della ruota di prua, le imposte lignee di una finestra, porzioni di mosaici e di pavimenti a intarsi marmorei, quattro colonne in marmo portasanta, ceramica, laterizi, decorazioni fittili e monete. L’ala destra del Museo è dedicata in particolare al Lago di Nemi ed al Santuario di Diana, ma sono presenti anche testimonianze protostoriche dell’intera area albana che rafforzano la valenza didattica dell’esposizione e documentano la vita, i manufatti e i corredi funerari delle popolazioni che abitavano l’area dei Castelli Romani, a partire dall’età del bronzo fino all’età imperiale. Di recente il Museo si è arricchito di una sezione molto importante, costituito dalla Collezione Ruspoli, fino a pochi anni fa conservata nell’omonimo Castello a Nemi; tra i materiali esposti statue, iscrizioni e sarcofagi.” Il mistero avvolge la possibilità suggerita al tempo delle ricerche da uno studioso, dell'esistenza di una terza nave, mai localizzata, ancora inabissata nel lago. Se c’è, come il “mostro di loch ness, sopravvive perché non è stata rinvenuta dall’uomo. Bianca Fasano.

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